Diritto Tributario

ABUSO DEL DIRITTO E DETRAIBILITA' DELL'IVA - CONDIZIONI - Cassazione civile sez. trib. 04.06.2014 n.12502

«Deve affermarsi la non automatica applicabilità dei medesimi principi in materia di detraibilità dell'IVA, che sarebbe da disconoscere in relazione ad operazioni connotate da una mera finalità di elusione o risparmio d'imposta, connessa alla descritta ingiustificata deduzione di costi superiori a quelli di mercato, dovendosi mantenere fermo il principio per cui, d'ordinario e per tale tributo, il diritto alla citata detrazione - in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente - resta ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l'IVA può dettarla dai costi sostenuti ed interrompendosi il meccanismo solo allorchè il bene o il servizio siano resi al consumatore finale.
In una diversa vicenda, posta la regola della non immediata applicazione dei principi espressi con riguardo all'imposizione diretta, questa Corte ha tuttavia ipotizzato che se l'Amministrazione finanziaria dimostri l'antieconomicità manifesta e macroscopica dell'operazione, esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, la circostanza potrebbe anche assumere rilievo quale indizio di non verità della fattura e, dunque, di non verità dell'operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all'utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterebbe all'imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all'attività svolta (così Cass. 22130/2013 e Cass. 22132/2013).
Tali circostanze non sono state tuttavia nè dimostrate nè allegate dall'Amministrazione, che ha mantenuto in una sostanziale e sola censura di alterazione irrealistica del prezzo l'area di rivisitazione critica della citata operazione, senza inficiarne l'effettività, in punto di inerenza ed esistenza della prestazione, altra nozione configurando il difetto di valore normale del corrispettivo pattuito e versato tra le parti.
Sulla questione della legittimità dell'operato dell'Amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui chiunque svolga un'attività economica dovrebbe, secondo l'id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all'eccessività di componenti negativi o all'immotivata compressione di componenti positivi di reddito, la stessa possibilità di estensione dei principi giurisprudenziali affermati quanto alle imposte sui redditi (e sopra richiamati, e comunque Cass. 13813/2000 per ILOR, e poi 10650/2001, 11454/2001, 6599/2002, 21155/2005, 6497/2008, 9036/2013 e Cass. 13478/2001, 3243/2013, per IRPEG) si pone infatti problematicamente con riguardo all'IVA, trattandosi di tributo armonizzato alla disciplina posta con la Sesta Direttiva CEE (arti7 Dir. 77/388/CEE del 17 maggio 1977), modificata fino alla Direttiva 28 novembre 2006 (2006/112/CEE).
Osta invero, in via generale, alla citata applicazione diretta ed automatica dei principi relativi all'imposizione diretta l'ispirazione dell'IVA al principio di neutralità, mediante il riconoscimento ad ogni fornitore o prestatore di servizio che l'abbia corrisposta, per l'acquisto di beni o servizi, del potere di detrazione del tributo relativo ai costi sostenuti, così che ogni imprenditore è esonerato interamente dall'IVA dovuta o pagata nell'ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell'IVA è perciò volto a garantire la neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività, a prescindere dallo scopo o dai risultati di esse, purchè siano appunto assoggettabili al tributo, prevedendosi un'interruzione di detto esonero generale allorchè il bene o servizio venga reso al consumatore finale.
6. E' vero peraltro che l'art. 17 Sesta Dir. CEE riconduce il diritto alla detrazione all'esigibilità ed inerenza dell'acquisto del bene o servizio, senza contemplare alcun riferimento, e comunque non in modo diretto, al valore del bene o servilo. Al punto che, anche per la Corte Europea, la circostanza che un'operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato appare irrilevante (Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C- 412/03, Hotel Scandic Gasabach, p.22). Nè vi sarebbe elusione od evasione fiscale se anche i beni o i servizi sono forniti a prezzi artificialmente bassi o elevati fra le parti, che godano entrambe del diritto a detrazione IVA, essendo solo a livello del consumatore finale che può ricorrere perdita di gettito fiscale (Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan, p.47).
La base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita così dal corrispettivo effettivamente ricevuto dal soggetto passivo ed esso rappresenta il valore soggettivo, realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi (Corte giust. 19 dicembre 2012, causa C-549/11, p. 48-49; Corte giust. 26 aprile 2012, cit., p.43; Corte giust. 5 febbraio 1981, Cooperative Aardappelenbewaarplaats, 154/80, p.13), secondo un indirizzo ribadito anche per operazioni di gruppo (Corte giust. 9 giugno 2011, causa C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio SA, p.27) e precisato per la portata restrittiva, a lettura tassativa, da conferire all'art.8O Dir. 2066/112/CEE ove si autorizzano gli Stati membri, per prevenire l'elusione o l'evasione fiscale, a fissare la base imponibile al valore normale se le operazioni si svolgano verso destinatali in particolare legame, anche proprietario o giuridico-finanziario (Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan, p. 52).
Così e da ultimo, in tema di metodo per la determinazione della base imponibile fiscale per gli elementi patrimoniali esistenti al momento della cancellazione dal registro IVA di un soggetto, l'art. 74 Dir.2006/112 dev'essere interpretato nel senso che osta a una disposizione nazionale la quale preveda che, in caso di cessazione dell'attività economica imponibile, la base imponibile dell'operazione sia il valore normale dei beni esistenti alla data di tale cessazione, salvo che tale valore corrisponda in pratica al valore residuo di detti beni a tale data e che in tal modo si tenga conto dell'evoluzione del valore di tali beni tra la data della loro acquisizione e quella della cessazione dell'attività economica imponibile (Corte giust. 8 maggio 2013, causa C-142/12, Marinov).
D'altronde, il regime delle detrazioni mira a sgravare interamente l'imprenditore dall'onere dell'IVA dovuta o pagata nell'ambito di tutte le sue attività economiche (Corte giust. 6 dicembre 2012, causa C-285/11): del tutto coerentemente, infatti, nella giurisprudenza dell'Unione il sistema comune dell'IVA garantisce, di conseguenza e come premesso, la perfetta neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purchè queste siano di per sè soggette all'IVA (v. sentenze del 14 febbraio 1985, Rompelman, 268/83, Racc. pag. 655, punto 19; del 15 gennaio 1998, Ghent Coal Terminal, C-37/95, Racc. pag. I-1, punto 15; Gabalfrisa e a., cit, punto 44; del 3 marzo 2005, Fini H, C-32/03, Racc. pag. 1-1599, punto 25; del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, Racc. pag. 1-1609, punto 78; Kittel e Recolta Recycling, cit, punto 48; del 22 dicembre 2010, Dankowski, C-438/09, Racc. pag. 1-14009, punto 24, nonchè Mahagèben e David, cit., punto 39). 7. Ribadita peraltro la non interferenza immediata del sistema di tassazione diretta con quello dell'IVA e l'assenza di vulnus al principio di non discriminazione (Corte giust. 17 marzo 2007, causa C- 35/05) di soluzioni normative differenziate, in condizioni normali non è consentito all'Amministrazione rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall'imprenditore escludendo il diritto a detrazione se il valore sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da reputare normale o comunque tale da produrre un risultato economico, una diversa verifica apparendo invece eccezionalmente ammessa - secondo un'apertura di questa Corte - allorchè "la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell'operazione, oppure di non verità del presso o, ancora, di non esistenza dell'inerenza e cioè della destinazione del bene o del servigio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA" e perciò se "l'amministrazione riesce a dimostrare l'antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all'imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all'attività svolta.... Potrà ancora accadere che l'antieconomicità costituisca indizio di abuso del diritto che, com'è noto, presuppone un uso "artificioso" di una forma giuridica e cioè l'uso concreto di essa non per l'affare per il quale essa è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale." (così Cass. 22130 e 22132/2013).
Nella fattispecie, pur apparendo - come esposto per i primi due motivi - gravemente trascurato il quadro probatorio addotto dall'Ufficio, sin dall'avviso di accertamento con la ripresa a tassazione ai fini delle imposte sui redditi (evenienza assente nei precedenti di Cass.22132 e 22130/13 che, anche per tale aspetto e pur affermando il principio, non hanno regolato ad identico modo la vicenda, per diversità di fattispecie), non risulta violato il diverso principio che solo in casi eccezionali condurrebbe ad esigere la valorizzazione del collegamento tra la macroscopica antieconomicità dei costi sostenuti dalla controllante che riceva le prestazioni dalla controllata e portati in detrazione, da un lato, e la non verità dell'operazione o la non verità del prezzo, quale effetto di indicatori alternativi ai dati fattuali delle prestazioni pagate alla controllata e tuttavia non posti in discussione, essendo insufficiente in sè inteso il mero richiamo finalistico al proposito, comune alle parti del negozio, di occultare un risultato economico opposto altrimenti più negativo. Per tali ragioni, i precedenti citati non possono trovare applicazione alla presente vicenda.
8. Nè sussiste l'esigenza di approfondire un diverso significato dell'art.80 Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sull'IVA. Come noto, la citata disposizione prevede che: "1. Allo scopo di prevenire delusione 0 Invasione fiscale, gli Stati membri possono, nei seguenti casi, prendere misure affinchè, per la cessione di beni e la prestazione di servizi a destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro, la base imponibile sia pari al valore normale: a) se il corrispettivo è inferiore al valore normale e l'acquirente dei beni o il destinatario dei servici non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi degli artt. da 167 a 171, e degli artt. da 173 a 177; b) se il corrispettivo è inferiore al valore normale e il cedente o prestatore non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi degli artt. da 167 a 171, e degli artt. da 173 a 177 e l'operazione è esente ai sensi degli artt. 132, 135, 136, 371, 375, 376 e 377, dell'art. 378, paragrafo 2, dell'articolo 379, paragrafo 2 o degli artt. da 380 a 390; c) se il corrispettivo è superiore al valore normale e il cedente o prestatore non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi degli artt. da 167 a 171 e degli artt. da 173 a 177. Ai fini del primo comma, i vincoli giuridici possono comprendere il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, la famiglia del lavoratore dipendente o altre persone strettamente collegate al lavoratore dipendente". Già nelle cause riunite 621-10 e C-129/11 il giudice del rinvio aveva chiesto "se l'art. 80, paragrafo 1, della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che le condizioni da esso poste sono tassative o se può essere ammesso che la base imponibile sia pari al valore normale dell'operazione fra parti collegate in casi diversi da quelli espressamente previsti da tale disposizione, in particolare qualora il soggetto passivo abbia interamente diritto alla detrazione?".
Nella sentenza 26 aprile 2012 la Corte di giustizia ha risposto che "L'art. 73 della citata direttiva costituisce l'espressione di un principio fondamentale, il cui corollario è che l'amministrazione tributaria non può riscuotere a titolo dell'IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 1997, Goldsmiths, C-330/95, Racc. pag. 1-3801, punto 15).
Nel consentire in taluni casi di considerare che la base imponibile sia pari al valore normale dell'operazione, l'articolo 80, paragrafo 1, della direttiva IVA. introduce un'eccezione alla norma generale prevista dall'articolo 73 di quest'ultima la quale, in quanto tale, deve essere interpretata restrittivamente (v. sentenze del 21 giugno 2007, Ludwig, CA53/05, Racc. pag. 1-5083, punto 21, nonchè del 3 marzo 2011, Commissione/Paesi Bassi, CA1/09, Racc. pag.1-831, punto 58 e giurisprudenza ivi citata)".
E pertanto, secondo i giudici dell'Unione, una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell'operazione in casi diversi da quelli elencati nella citata disposizione, in particolare qualora il soggetto passivo benefici del diritto a detrarre interamente l'imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice nazionale accertare.
In vicende come quelle di cui ai procedimenti trattati, secondo la Corte di giustizia, il cit. art. conferisce alle società interessate il diritto di avvalersene direttamente al fine di opporsi all'applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con tale norma. E pertanto nell'impossibilità di procedere ad un'interpretazione della normativa interna in conformità con tale articolo 80, paragrafo 1, il giudice del rinvio dovrebbe disapplicare qualsiasi disposizione di tale normativa che contrasti con esso. 9. L'esame del secondo motivo del ricorso incidentale è conseguentemente assorbito, per sopravvenuta carenza di interesse.»


FONTE: DE JURE - GIUFFRE' - MILANO 2014