Diritto Tributario

ABUSO DEL DIRITTO E TRANSFER PRICING- Cassazione civile sez. trib. 04.06.2014 n.12502

«In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (Cass. 1372/2011, 21390/2012).
Il predetto divieto si traduce poi nel citato principio generale antielusivo, che trova fondamento nel D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, art. 37 bis, secondo il quale l'Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatoli emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l'applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell'esito dell'accertamento volto a contrastare il fenomeno dell'abuso del diritto (Cass. 25537/2011, 21782/2011, 11236/2011).
2. Una lunga evoluzione ha infine permesso di adeguare anche alle operazioni nel mercato interno, cioè fra soggetti regolati dal medesimo ordinamento, la questione del transfer pricing, essendosi stabilito che nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra società facenti parte di uno stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia, va applicato il principio, avente valore generale e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo, stabilito dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, che - si è ripetuto - non ha mera portata contabile ed impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente, trattandosi invero di clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali - come lo spostamento dell'imponibile presso le imprese associate - mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti giuridici idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (Cass. 17955/2013).
Aggiunge il Collegio che il diritto dell'UE non contiene un principio a regolazione diretta in tema di transfer pricing interno e tuttavia, già con la raccomandazione del 6 dicembre 2012, la Commissione incoraggia una disciplina uniforme sul contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva in materia di imposte sul reddito, potendosi ricavare da tale iniziativa che, nella materia, gli Stati membri possono allo stato - in attesa di una disciplina uniforme ancora solo auspicata - prevedere e stigmatizzare ipotesi di operazioni abusive anche non conformi ai modelli comunitari. Si è così raccomandato di considerare (punto 4.2.) che "Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l'imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica". Si tratta di un contesto di tendenziale convergenza normativa il quale se non vincola, comunque già ora non ostacola ed anzi permette di censire un'interpretazione - ai limitati fini della tassazione diretta e come deciso anche nel precedente sopra citato - delle operazioni con parte di prezzo eccedente il valore di mercato, soprattutto ed anche in una logica intragruppo, da considerare sintomatiche di pratica abusiva, ove avente come essenziale scopo un risparmio d'imposta, senza altre rilevanti ed apprezzabili ragioni economiche. Va invero tenuto conto, per quanto emerso in fatto, che oltre al prezzo difforme dal c.d. valore normale si riscontrano univoci elementi relativi alla finalità di pareggiare i risultati di bilancio della partecipata, così evitando l'emersione di un risultato negativo, spostandosi il carico fiscale sui costi patiti dalla controllante, disponibile ad acquisirne le prestazioni ad un valore alterato.
Si tratta di circostanze coerentemente evidenziate dall'Ufficio sin dall'atto di accertamento, ordinatamente riportate negli atti del giudizio di cassazione e prive di contestazione specifica della controparte, così manifestandosene l'idoneità a sorreggere un giudizio di interesse assorbente e primario del contribuente al comportamento abusivo.»


FONTE: DE JURE - GIUFFRE' - MILANO 2014